Rifiutata da Stati Uniti ed Europa, la proposta ETNO di riformare Internet trova ancora qualche adepto esotico. Ecco perchè.
Com’è noto, la proposta di ETNO e Telecom Italia di riformare Internet in sede ITU (la famosa negoziazione WCIT-12) è virtualmente morta. Si tratta di una proposta tecnicamente sbagliata, come è stato fatto notare da molti esperti, ad esempio quelli di AT&T (una telco normalmente in buoni rapporti con gli incumbenrs europei), dell’OECD, di Analysys Mason, di WIK, e la lista sarebbe ancora più lunga, ahimè. Ad ogni modo, al di là del giudizio tecnico sulla proposta ETNO, ciò che conta è l’imponente schieramento di detrattori che si è formato su entrambe le sponde dell’Atlantico: e così, non è ragionevole pensare di riformare Internet a livello globale se Stati Uniti, Unione Europea (in particolare la Commissione ed il Parlamento, e da ultimo il Berec) e paesi europei (riuniti nel CEPS) sono contrari. Sarebbe come riformare il campionato italiano con il solo appoggio della Nocerina.
E’ interessante però notare come le idee di ETNO e Telecom Italia in materia di Internet abbiano trovato orecchie attente in altre aree geografiche, segnatamente in Africa e Medio Oriente, almeno per quanto riguarda l’idea di far pagare agli OTT (i c.d. Over-The-Top, cioè Google, Facebook, Skype, ma soprattutto gli operatori che distribuiscono video e contenuti digitali via Internet ecc.) l’accesso agli utenti Internet (c.d. terminazione Internet, o anche Sending Party Network Pays: SPNP”). Cerchiamo di capire il perchè.
Una tesi buonista attribuisce questo effetto ad una sorta di ansia dei governi arabo/africani nello sviluppare reti in fibra ottica nei rispettivi paesi: in sostanza, essi vorrebbero far pagare a Google & Co. il cablaggio di Timbuctù. Capperi! Se fosse stato così semplice, la stessa Kroes avrebbe colto al balzo una soluzione così facile per finanziare le fibre ottiche in Europa. Ma purtroppo le ragioni per questa strana alleanza ETNO-arabi-africani sono altre.
Tradizionalmente, i paesi africani e arabi hanno sempre guadagnato molto bene dalla terminazione delle telefonate internazionali dirette (quindi: “terminate”) nei loro rispettivi paesi. Tali telefonate internazionali erano normalmente carissime a causa appunto della tariffa di terminazione imposta dal governo locale su tutte le chiamate che arrivavano dall’estero. Ne risultava così una cifra d’affari importante per il paese di destinazione, denaro che poi veniva incamerato dall’incumbent locale (e magari spartito nell’elite di governo, chissà). Con il tempo, tuttavia, questa fonte di ricchezza è andata via via inaridendosi a causa di applicazioni VOIP, tipo Skype, Viber, Messagenet ecc., che permettevano alla gente di telefonare gratis via Internet, scartando le tradizionali telefonate. A Timbuctù, come a Dakar, ci si è allora posti il problema di come recuperare questa perdita.
A questo punto entra in gioco la proposta ETNO, cioè quella di far pagare la terminazione Internet: per compensare le perdite causate dall’innovazione tecnologica, ai paesi arabi e africani non è parso vero di poter replicare il meccanismo della terminazione telefonica anche alle applicazioni Internet. L’idea sarebbe questa: se il governo keniota non può più guadagnare dalle telefonate internazionali dirette in Kenia, ora guadagnerà tramite un balzello imposto agli operatori Internet che vogliono essere visibili (quindi accessibili) agli utenti che si connettano da un computer in Kenia. Quindi, per ogni keniota che acceda e riceva dati da Youtube, Google dovrebbe versare una monetina al governo di Nairobi (come il mitico “un fiorino!” di Trosi/Benigni). Oibò, qualche nerd africano avrà pure obiettato che telefonia (analogica) e Internet (pacchetti IP) funzionano diversamente, quindi applicare la terminazione telefonica a Internet sembrerebbe una fesseria, ma sarà stato subito zittito: la proposta arriva “dall’industria europea”, possibile che certe teste d’uovo non sappiano come funziona Internet e si siano sbagliati?
Vi sono poi altre motivazioni: regolamentare la terminazione Internet vuol dire anche filtrare lo scambio di comunicazioni digitali di un paese con il resto del mondo. Il che può diventare interessante per quei paesi illiberali e antidemocratici, numerosissimi in Africa e Medio Oriente, che vedono l’Internet libero come la peste e desiderano invece mantenere sotto controllo i rispettivi sudditi. Avere una regolamentazione ITU che in qualche modo legittimi una sorte di filtraggio Internet sarebbe proprio un bel regalozzo. Ecco, a questi effetti gli apprendisti stregoni di ETNO non avevano sicuramente pensato.
E’ questo il motivo per cui qualche contenuto delle proposte ETNO potrebbe andare avanti nell’ambito di emendamenti arabi e africani. Ovviamente, la sorte di questi emendamenti è tutt’altro che scontata. In effetti, anche qualora il meccanismo in questione trovasse riconoscimento in sede ITU, i paesi occidentali ed industrializzati avrebbero la facoltà di esprimere una riserva, che renderebbe a loro inapplicabile tale meccanismo. Il sistema della terminazione Internet avrebbe pertanto validità solo e esclusivamente tra paesi arabi e africani, ed allora servirebbe a poco.
Nei rapporti tra paesi arabo/africani vs. resto del mondo, invece, la potenziale norma ITU non si applicherebbe, ed allora continuerebbe a vigere il principio di mercato, come da sempre: se, ad esempio, la Tanzania volesse far pagare a Google & Co. la sua visibilità sulle cime del Kilimangiaro, dovrebbe semplicemente mandare una fattura a Palo Alto. Se Google non paga, perchè si sente offesa o semplicemente perchè il fatturato online e advertising in Tanzania non giustificherebbe il conto, allora il governo africano potrebbe “spegnere” Google (con un sistema di filtri e blocchi). Con tutte le conseguenze del caso però. Spegnere in Africa gli OTT occidentali vorrebbe dire condannare la popolazione locale ad una sorta di ostracismo digitale, con pesanti ricadute sociali ed economiche. Uno scenario di questo tipo è immaginabile solo in paesi un po’ più estremisti e dove l’interesse a controllare Internet per motivi politici è prevalente rispetto agli interessi economici. Per tali paesi, la proposta ETNO può apparire interessante per filtrare l’accesso alle fonti di informazione e di contenuti occidentali, e stiamo parlando di Arabia Saudita, Siria, Iran……. E’ invece difficile ipotizzare questo scenario nei paesi più sensibili all’interscambio mondiale. Così, anche qualora Google & Co. rifiutassero di pagare la fattura, nessuno avrebbe il coraggio di spegnerli, perchè questa mossa sarebbe doppiamente dannosa per il paese che la attua.
Considerazioni analoghe valgono in altre parti del mondo, come il Sudamerica. Chi si sente in grado di negoziare, tipo il Brasile, presenterà il conto a Google&Co, e questi ultimi ci penseranno un po’ su. Gli altri paesi lasceranno perdere, perchè i danni derivanti dalla disconnessione da Internet sono immensamente superiori ai potenziali soldini della terminazione Internet. Bolivia e Venezuale potrebbero farlo per ragioni ideologiche, ma l’esempio vivente della disconnessa Cuba (nel senso della Rete) non è invitante per nessuno. Si può bandire la Coca-Cola, ma non Internet.
Stesso dicasi per l’Asia, un’area dove, per la verità, il grado di sviluppo tecnologico ed apertura economica fa sì che sia difficile prendere sul serio la proposta ETNO. Chi può farsi pagare la terminazione su base commerciale, tipo l’India, continuerà a farlo, senza toccare i trattati ITU. Chi vuole controllare i traffici dei sudditi, tipo Singapore o le repubbliche del Caucaso, pure. L’unico paese che potrebbe veramente fare la voce grossa in sede ITU, diciamo la Cina, difficilmente lo farà, perchè i cinesi sono pragmatici, e sanno che non avrebbe senso mettersi di traverso con Stati Uniti e Unione Europea per una questione del genere. La Cina ha un immenso mercato interno e sa già come negoziare con Google, non ha bisogno di aiutini in sede ITU.
In definitiva, nessuna riforma dell’Internet a livello globale è possibile senza un larghissimo consenso, e che comprenda soprattutto Stati Uniti, Unione Europea e paesi sviluppati. Non vi è posto per proposte disruptive e controverse, come quella di ETNO, che però possono sempre provocare dei danni collaterali. I danni in questione finiranno per pagarli, se vanno così le cose e loro malgrado, le popolazioni africane ed arabe che vivono in paesi illiberali.
Categories: Internet governance, ITU, WCIT12
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